CNDCEC: Whistleblowing e le novità per gli Ordini professionali

Il CNDCEC ha riepilogato le principali novità, di interesse per gli Ordini professionali, introdotte dal Decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24 in merito alla disciplina del whistleblowing (CNDCEC, informativa 12 luglio 2023, n. 94).

Il D.L. n. 24/2023 ha recentemente introdotto alcune modifiche alla disciplina delle segnalazioni di illeciti, cd. Whistleblowing, già obbligatoria per gli Ordini professionali, ai sensi del art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001.

Il CNDCEC ha chiarito che per quanto riguarda gli Ordini professionali, questi dovranno semplicemente valutare gli adeguamenti alla nuova disciplina prevista dal D.Lgs 24/2023, in quanto la normativa previgente (art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001, abrogato dal nuovo Decreto) già prescriveva l’adozione di sistemi di whistleblowing quali misure per il trattamento del rischio corruttivo.

 

L’obbligo di istituire canali di segnalazione interna degli illeciti, originariamente previsto solo a carico di soggetti pubblici, è stato, dunque, esteso:

– agli organismi di diritto pubblico di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 50/2016;

– ai concessionari di pubblico servizio;

– nel settore privato, ai soggetti che hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;

– agli enti che operano nei settori dei servizi, prodotti e mercati finanziari, prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, tutela dell’ambiente e sicurezza dei trasporti;

– alle organizzazioni che hanno adottato un modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

 

Il CNDCEC ha evidenziato, poi, l’ampliamento della platea dei soggetti che ricevono la tutela prevista dalla disciplina whistleblowing, ricomprendendovi:
– la persona che opera all’interno del medesimo contesto lavorativo e assiste il segnalante nel processo di segnalazione (cd. “facilitatore”);
– le persone legate al segnalante da un rapporto di parentela entro il IV grado ovvero da uno stabile legame affettivo e che operano nel medesimo contesto lavorativo;
– i colleghi di lavoro con i quali il segnalante ha un rapporto abituale e corrente;
– gli enti di proprietà del segnalante.

 

Ad essere ampliato è stato anche l’ambito oggettivo della segnalazione, che ora può avere ad oggetto:

  • le informazioni relative alle condotte volte ad occultare le violazioni sopra indicate;

  • le attività illecite non ancora compiute ma che il whistleblower ritenga ragionevolmente possano verificarsi in presenza di elementi concreti precisi e concordanti;

  • i fondati sospetti.

Altra novità riguarda la scelta del canale di segnalazione, non più rimessa alla discrezione del whistleblower, per favorire in via prioritaria l’utilizzo del canale interno e permettere, solo al ricorrere di una delle condizioni di cui all’art. 6 del decreto, il ricorso ad una segnalazione esterna (ad ANAC).

 

Infine, il CNDCEC si sofferma sulla tutela approntata dalla nuova disciplina alla persona segnalante, che include:

– la tutela di riservatezza riguardo all’identità del segnalante che non può essere rivelata a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni;
– il divieto di ogni forma di ritorsione, anche solo tentata o minacciata;
– l’esclusione della punibilità di chi riveli o diffonda informazioni sulle violazioni coperte dall’obbligo di segreto, relative alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati personali;

– le informazioni, l’assistenza e le consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.

IVA delle prestazioni rese ai ricoverati e agli accompagnatori: novità introdotte dal D.L. Semplificazioni

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sul’articolo 18 del Decreto Semplificazioni recante modifiche alla disciplina IVA delle prestazioni rese ai ricoverati e agli accompagnatori (Agenzia delle entrate, circolare 7 luglio 2023, n. 20/E).

Il D.L. n. 73/2022, c.d. Decreto Semplificazioni, all’articolo 18 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina IVA delle prestazioni rese ai ricoverati e agli accompagnatori, intervenendo in particolare sul Decreto IVA con la riformulazione delle previsioni riguardanti:

 

– l’esenzione da imposta di cui all’articolo 10, primo comma, n. 18), relativa alle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione della persona rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell’articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, ovvero individuate con decreto del Ministro della salute, di concerto con il MEF;

 

– l’applicazione dell’aliquota ridotta (del 10%) di cui alla Tabella A, parte terza, n. 120, alle prestazioni di ricovero e cura diverse da quelle per le quali è prevista l’esenzione ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n.18) e n.19), del Decreto IVA, nonché per le prestazioni di alloggio rese agli accompagnatori delle persone ricoverate.

 

L’Agenzia ha premesso che in base all’articolo 10, primo comma, n. 19) del decreto IVA sono esenti da imposta le prestazioni di ricovero e cura, comprese quelle di somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto qualora rese da:

– enti ospedalieri;

– cliniche e case di cura convenzionate;

– società di mutuo soccorso con personalità giuridica;

– enti del Terzo settore di natura non commerciale.

 

Con la novella normativa è stata innanzitutto confermata l’esenzione da imposta per le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione della persona rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza ed inoltre, in linea con l’orientamento della giurisprudenza unionale, tale esenzione è stata estesa alle prestazioni sanitarie rese dagli esercenti arti e professioni sanitarie soggetti a vigilanza.

L’integrazione normativa prevede, dunque, che qualora la prestazione sanitaria sia resa al paziente, nell’ambito della più complessa prestazione di ricovero e cura, da una delle strutture ivi indicate, avvalendosi di un professionista, in un rapporto trilaterale, che veda detta prestazione fatturata dal professionista alla struttura e da quest’ultima al paziente, l’esenzione si applica in entrambi i rapporti, nel limite normativamente previsto.

 

L’Agenzia ha sottolineato in particolare che l’esenzione della componente di una prestazione di ricovero e cura resa dalla struttura sanitaria non convenzionata è subordinata alla condizione che tale soggetto a sua volta acquisti la suddetta prestazione sanitaria presso un terzo.

Tale condizione implica che, laddove la prestazione sia resa dal professionista sanitario sottoposto a vigilanza e questi sia legato alla struttura sanitaria non convenzionata da un rapporto di lavoro dipendente, la suddetta disposizione non trova applicazione e l’intera prestazione di ricovero e cura è soggetta ad IVA.

 

In merito alle prestazioni rese dalle strutture sanitarie non convenzionate, l’Agenzia ha osservato che le stesse sono interessate anche dal trattamento agevolato avente ad oggetto, in particolare, l’applicazione di un’aliquota ridotta, al 10%, per le prestazioni di alloggio, ricovero e cura.

La nuova previsione, oltre a confermare l’applicazione di tale aliquota IVA, la estende anche alle prestazioni:

– di ricovero e cura rese dalle strutture sanitarie non convenzionate (diverse da quelle esenti);

– di alloggio rese da qualsiasi struttura sanitaria (convenzionata e non) nei confronti degli accompagnatori dei soggetti ricoverati.

 

Infine, la novella normativa, ha esteso l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta anche alle prestazioni di alloggio rese agli accompagnatori delle persone ricoverate, sia qualora tali servizi siano resi da enti ospedalieri, cliniche e case di cura convenzionate, società di mutuo soccorso con personalità giuridica ed enti del Terzo settore di natura non commerciale, sia laddove siano resi da strutture sanitarie non convenzionate.

 

Organo di controllo interno e revisore nelle società cooperative: chiarimenti MIMIT

Il Ministero delle imprese e del made in Italy ha fornito indicazioni sulla disciplina applicabile in materia di controlli nelle società cooperative (Ministero delle imprese e del made in Italy, nota 5 luglio 2023, n. 221466).

Per le società cooperative, la nomina dell’organo di controllo o del revisore è legata al combinato disposto degli articoli 2519, 2543 e 2477 c.c..
Il MIMIT rammenta che la società cooperativa, la cui compagine sociale è composta da un numero di soci cooperatori inferiore a 20 ovvero il cui attivo dello stato patrimoniale non è superiore ad un milione di euro e abbia previsto nell’atto costitutivo di adottare la normativa di riferimento delle srl, non ha alcun obbligo di nominare l’organo di controllo interno né il revisore.

 

Per gli altri casi è necessario operare a monte una distinzione tra le cooperative che adottano il regime di riferimento delle spa da quelle che operano invece secondo la disciplina delle srl:

– se la cooperativa adotta le norme spa, per esplicita previsione nell’atto costitutivo/statuto del sistema spa o in ragione della mancata indicazione del regime di riferimento srl o infine perché ha più di 20 soci ovvero un attivo patrimoniale superiore a un milione di euro, la revisione legale dei conti è sempre obbligatoria e può essere affidata ad un revisore legale dei conti iscritto nell’apposito registro, o al collegio sindacale;

– se la cooperativa spa rientra invece nelle fattispecie art. 2477 c.c., oltre alla revisione legale, è necessario che nomini anche il collegio sindacale cui affidare il controllo interno (nelle spa l’organo di controllo può essere solo in forma collegiale);

– se la cooperativa adotta le norme srl, ai sensi dell’art. 2519 c.c., solo se vi è esplicita previsione nell’atto costitutivo, e rientra nelle fattispecie descritte dall’art. 2477 c.c., deve provvedere alla nomina di un organo di controllo o di un revisore, determinando
competenze e poteri del sindaco unico o del revisore.  La nomina del collegio sindacale, in alternativa all’organo monocratico, sarà possibile solo se disposta nell’atto costitutivo o nello statuto.

 

Il Ministero, dunque, afferma che alle cooperative srl si possa applicare la disciplina del sindaco unico per la necessità, del tutto oggettiva, di non creare disparità di trattamento o pregiudicare la forma societaria cooperativa srl e viene evidenziato che, nel caso di specie, si tratta solo di una deroga sulla composizione dell’organo, collegiale o monocratica, non idonea ad incidere sul contenuto o l’approfondimento dei controlli.

 

Riguardo ai controlli attribuiti al sindaco e quelli affidati al revisore, si ricorda che:

  •  Il Sindaco Unico (o il Collegio Sindacale) partecipa alle adunanze dell’organo amministrativo; è incaricato ad effettuare i controlli sul rispetto della legge e della corretta gestione; è obbligato alla tenuta del Libro; deve effettuare i controlli trimestrali sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Ai sensi dell’articolo 2545 c.c., inoltre, deve specificamente indicare, in occasione della approvazione del bilancio di esercizio, nella relazione prevista dall’articolo 2429 c.c., i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento dello scopo mutualistico;

  • Il Revisore Legale (o la Società di Revisione) cui è attribuita la revisione legale dei conti, non partecipa alle adunanze del CdA, effettua i controlli con la frequenza che ritiene più opportuna tenuto conto delle dimensioni e dell’attività svolta dall’ente ed è tenuto alla conservazione solo delle carte di lavoro. La Relazione al Bilancio, infine, riguarda principalmente gli aspetti contabili.

Pertanto risulta evidente che si tratta di attività professionali che hanno ad oggetto aspetti diversi e che al revisore non sono affidate le funzioni di controllo spettanti all’organo sindacale.

 

Il MIMIT, infine, conclude affermando che sarebbe immotivatamente discriminatorio ritenere che alle società cooperative sia preclusa la possibilità di nominare il revisore legale in conseguenza dell’applicazione letterale dell’articolo 2543 c.c..

Inoltre l’assenza di obbligatorietà di un organo di controllo interno, al di sotto di certi valori dimensionali, può essere ampiamente giustificata dall’esigenza di non gravare le cooperative più piccole di oneri non strettamente necessari.

Detrazioni investimenti in start-up e PMI innovative e ipotesi di decadenza

L’Agenzia delle entrate si sofferma in materia di detrazioni per investimenti in start-up e PMI innovative, fornendo chiarimenti sulle ipotesi che possono portare alla decadenze delle agevolazioni fiscali (Agenzia delle entrate, risposta 13 luglio 2023, n. 390)

L’articolo 29, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, disciplina una detrazione dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche pari al 19% della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in startup innovative.

A decorrere dall’anno 2017 è stato, poi, disposto l’aumento al 30% dell’aliquota della detrazione.

Tale detrazione si applica anche agli investimenti in PMI, nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dagli orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio.

Successivamente è stata introdotta una detrazione maggiorata per le persone fisiche, pari al 50% dell’importo investito in start-up e Pmi innovative, ai sensi del Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione europea del 18 dicembre 2013 sugli aiuti de minimis.

La suddetta detrazione può essere fruita a condizione che l’investimento sia mantenuto per almeno 3 anni. L’eventuale cessione, anche parziale, dell’investimento prima del decorso di tale termine, comporta la decadenza dal beneficio e l’obbligo per il contribuente di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali.

 

I decreti del MEF del 7 maggio 2019 e e del 28 dicembre 2020 disciplinano la decadenza dal diritto alla fruizione dell’agevolazione, che interviene al verificarsi di specifici eventi prima di un periodo minimo di detenzione dell’investimento effettuato, c.d. holding period.

In particolare, l’articolo 6 del decreto del 7 maggio 2019 e l’articolo 7 del decreto 28 dicembre 2020 stabiliscono al comma 1, che il diritto all’agevolazione decade se, entro 3 anni dalla data in cui rileva l’investimento ai sensi dell’art. 3, si verifica:

 

– la cessione, anche parziale, a titolo oneroso, delle partecipazioni o quote ricevute in cambio degli investimenti agevolati ai sensi dell’art. 3, inclusi gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e i conferimenti in società, salvo quanto disposto al comma 3, lettere a) e b), nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni o quote;

 

– la riduzione di capitale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote delle start-up innovative o delle PMI innovative ammissibili o delle altre società che investono prevalentemente in startup innovative o PMI innovative ammissibili e le cui azioni non siano quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione;

 

– il recesso o l’esclusione degli investitori di cui all’art. 2, comma 1.

 

Non rientrano tra le cause di decadenza dall’agevolazione, invece, i trasferimenti a titolo gratuito o a causa di morte del contribuente, nonché i trasferimenti conseguenti alle operazioni straordinarie di cui ai capi III e IV del titolo III del Tuir.

 

Chiarisce l’Agenzia delle entrate che, nel periodo d’imposta in cui si verifica la decadenza dall’agevolazione, il soggetto passivo che ha beneficiato dell’incentivo deve incrementare l’imposta lorda di tale periodo di un ammontare corrispondente alla detrazione effettivamente fruita nei periodi di imposta precedenti, aumentata degli interessi legali.

 

In generale, dunque, la decadenza dal diritto a fruire dell’agevolazione opera in tutti i casi in cui, indipendentemente dalla volontà dell’investitore, l’investimento non si protrae per almeno un triennio in capo allo stesso investitore, ad eccezione di ipotesi, tassativamente previste, in cui il rispetto della condizione relativa all’holding period non è richiesto, come in caso di trasferimento mortis causa, oppure va verificato avendo a riguardo la data in cui il dante causa dell’investitore ha effettuato l’investimento.

 

Nel caso di specie, l’istante ha partecipato a due aumenti di capitale della società, accettandone i termini e le condizioni, in particolare una clausola espressiva del diritto di trascinamento riconosciuto in capo ai soci di maggioranza da esercitare nei riguardi dei soci di minoranza. A seguito dell’attivazione di tale diritto, con conseguente decisione da parte di soci di maggioranza di vendere l’intero capitale sociale, l’istante, non avendo sottoscritto l’atto di vendita delle azioni, ha ricevuto dalla società la comunicazione relativa all’estinzione delle proprie azioni, con effetto dalla data della vendita dell’intero capitale sociale, e ha conseguito la liquidazione delle azioni a un valore per azione corrispondente a quello pattuito in occasione della vendita.

 

Al riguardo, il MEF ha osservato che la stessa relazione illustrativa al citato D.L. n. 179/2012 evidenzia il vincolo al mantenimento dell’investimento per almeno 3 anni, sottolineando che qualora l’investimento venga ceduto, anche parzialmente, prima del decorso di tale termine, il contribuente decade dal beneficio con l’obbligo di restituire l’importo detratto, unitamente agli interessi legali.

Il MIMIT, inoltre, ha rilevato che l’estinzione delle azioni dei soci di minoranza, conseguentemente all’attivazione della clausola di trascinamento da parte dei soci di maggioranza, può essere ricondotta tra le ipotesi di recesso o esclusione.

 

In conclusione, sulla base dei pareri resi dai citati Ministeri e in considerazione delle specifiche clausole statutarie, l’Agenzia ritiene che per l’istante si sia verificata, prima del decorso dell’holding period di 3 anni, un’ipotesi di recesso o esclusione dalla società, con conseguente decadenza dal diritto alle detrazioni fruite in relazione agli investimenti effettuati. Pertanto, nel periodo d’imposta in cui si è verificata la decadenza dall’agevolazione, l’istante dovrà incrementare l’imposta lorda relativa di un ammontare corrispondente alle detrazioni effettivamente fruite, aumentata degli interessi legali.

Bonus energia imprese: fruizione del credito nel caso di riaddebito dei costi

L’Agenzia delle entrate ha fornito precisazioni sulle  modalità di fruizione del credito d’imposta per imprese non energivore, nel caso di costi riaddebitati analiticamente (Agenzia delle entrate, risposta 3 luglio 2023, n. 389).

L’articolo 3 del D.L. 21 marzo 2022, n. 21, al comma 1 stabilisce il riconoscimento di un contributo straordinario, sotto forma di credito d’imposta, a parziale compensazione dei maggiori oneri sostenuti per l’energia elettrica acquistata ed impiegata nell’attività economica durante il secondo trimestre 2022, in favore delle imprese energivore.

Tali imprese possono beneficiare del contributo a condizione che il prezzo di acquisto della componente energia, calcolato sulla base della media riferita al primo trimestre 2022, al netto delle imposte e degli eventuali sussidi, abbia subito un incremento del costo per kWh superiore al 30% del corrispondete prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019. Viene riconosciuto, inoltre, un contributo straordinario, sotto forma di credito di imposta, pari al 12% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, effettivamente utilizzata nel secondo trimestre dell’anno 2022, comprovato mediante le relative fatture d’acquisto.

 

L’articolo 6 del D.L. n. 115/2022, al comma 3, ha previsto un credito d’imposta pari al 15% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, acquistata ed effettivamente utilizzata nel terzo trimestre dell’anno 2022, a favore delle imprese dotate di contatori di energia elettrica di potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW, diverse dalle imprese a forte consumo di energia elettrica, sempre che il prezzo abbia subito nel secondo trimestre 2022 un incremento del costo per kWh, al netto di imposte e sussidi, superiore al 30% del corrispondente prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019.

 

L’articolo 1 del D.L. n. 144/2022 ha invece previsto, al comma 3, un credito d’imposta pari al 30% della spesa sostenuta per l’acquisto della componente energetica, acquistata ed effettivamente utilizzata nei mesi di ottobre e novembre dell’anno 2022, a favore delle imprese dotate di contatori di energia elettrica di potenza disponibile pari o superiore a 4,5 kW, diverse dalle imprese a forte consumo di energia elettrica, sempre che il prezzo abbia subito nel terzo trimestre 2022 un incremento del costo per kWh, al netto di imposte e sussidi, superiore al 30% del corrispondente prezzo medio riferito al medesimo trimestre dell’anno 2019.

Tale credito d’imposta è stato esteso in relazione alla spesa sostenuta per il primo trimestre 2023, nella misura del 35%. Da ultimo il Decreto Bollette, ha ulteriormente prorogato tale misura con riferimento al secondo trimestre 2023.

 

L’Agenzia ha chiarito che i crediti d’imposta maturati, in linea di principio, possono essere fruiti dall’impresa conduttrice che ne sostenga l’effettivo onere economico attraverso un riaddebito analitico, pur non essendo titolare delle relative utenze. Ciò in conformità con la ratio del beneficio fiscale, finalizzato a ristorare le imprese dei maggiori costi sostenuti per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché con il dato letterale della norma, che istituisce il credito d’imposta a parziale ristoro delle spese sostenute per l’acquisto della componente energetica effettivamente utilizzata, nonché dei maggiori oneri sostenuti per l’acquisto di gas naturale.

Il sostenimento delle spese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale deve essere documentato dalle imprese che usufruiscono del credito d’imposta mediante il possesso di copia delle fatture d’acquisto, delle fatture o note di riaddebito delle stesse emesse dall’intestatario del POD, di un atto che preveda espressamente l’imputazione analitica delle spese concernenti le anzidette utenze, nonché di documentazione probatoria relativa all’avvenuto pagamento da parte di quest’ultimo.

 

Nel caso di specie, l’istante riferisce di sostenere inizialmente l’integrale costo delle spese per l’acquisto di energia elettrica e di provvedere successivamente a riaddebitare analiticamente i costi sostenuti.

Pertanto, l’Agenzia chiarisce che in presenza di meccanismi di determinazione del corrispettivo che dovessero comportare nei confronti del cliente finale un analitico riaddebito del costo (aumentato) del prezzo della materia prima, alle imprese non potrebbe essere riconosciuto in misura corrispondente il credito d’imposta.

 

Riguardo al soggetto tenuto all’invio della comunicazione di cui all’art. 1, comma 6, del D.L. n. 176/2022, è previsto che entro il 16 marzo 2023, i beneficiari dei crediti d’imposta, a pena di decadenza dal diritto alla fruizione del credito, inoltrino all’Agenzia delle entrate un’apposita comunicazione sull’importo del credito maturato nell’esercizio 2022.

 

Afferma, in conclusione, l’Agenzia che dal provvedimento del 16 febbraio 2023 di approvazione del modello per la comunicazione dei crediti d’imposta maturati in relazione alle spese sostenute per l’acquisto di prodotti energetici si evince che obbligato all’invio della comunicazione è il beneficiario del credito, ossia il soggetto legittimato ad operare la compensazione, con la conseguenza che la Società è tenuta all’adempimento in esame esclusivamente per i crediti d’imposta di cui lei stessa è beneficiaria.

 

Costituzione diritto di usufrutto e di servitù prediale su terreno agricolo: i chiarimenti delle Entrate

L’Agenzia delle entrate si sofferma in tema di costituzione del diritto di usufrutto e del diritto di servitù prediale su un terreno agricolo, fornendo chiarimenti sul trattamento fiscale del corrispettivo percepito (Agenzia delle entrate, risposta 12 luglio 2023, n. 381).

Ai sensi dell’articolo 981 del codice civile, l’usufrutto attribuisce all’usufruttuario il diritto di godere e di usare la cosa, facendone però salva la destinazione economica. Inoltre, ai sensi dell’articolo 980 del codice civile, l’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.

 

Dal punto di vista fiscale, l’articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR stabilisce che sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, quelli derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili.

 

Relativamente al corretto trattamento fiscale da riservare alla concessione trentennale di un diritto di usufrutto su un immobile da parte di una persona fisica, con la risoluzione n. 20/1993 è stato già chiarito che è del tutto irrilevante la questione posta in ordine all’uso del termine ”concessione”, dal momento che il presupposto impositivo si realizza in capo al cedente il diritto reale di godimento, dovendosi intendere il termine ”concessione” adoperato in senso atecnico in riferimento a tutti gli atti giuridici aventi l’effetto di trasferire ad altri la potenzialità reddituale di un immobile.

Chiarisce, dunque, l’Agenzia che, in applicazione del suddetto articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR, il corrispettivo percepito dal proprietario persona fisica a fronte della costituzione del diritto di usufrutto costituisce reddito diverso da tassare ai sensi del successivo articolo 71 del medesimo TUIR.

 

Ai sensi dell’articolo 1027 del codice civile, la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario e può essere coattiva o volontaria.

Ai fini della tassazione, nel caso della costituzione di tale diritto, la risoluzione del 10 ottobre 2008, n. 379/E ha chiarito che si applica quanto previsto dall’articolo 9, comma 5, del TUIR, ai sensi del quale ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società.

Nella stessa risoluzione, inoltre, si chiarisce che  la costituzione di una servitù va ricondotta all’art. 67, comma 1, lettera b), primo periodo, del Tuir, concernente le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di beni immobili.

 

In base all’articolo 67, comma 1, lett. b) del TUIR sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il predetto periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante.

 

Nel caso di specie, il corrispettivo percepito dall’istante, proprietaria da più di 5 anni di un terreno agricolo, per la parte riferita alla costituzione del diritto di usufrutto genera reddito diverso, di cui al citato articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR, costituito, ai sensi del successivo articolo 71, comma 2, dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione.

Quanto alla costituzione del diritto di servitù di cavidotto e di passaggio sulla porzione di terreno agricolo, l’Agenzia ritiene che non emergono plusvalenze tassabili ai sensi del citato articolo 67, comma 1, lett. b), in quanto la costituzione di tale diritto interviene, come affermato dall’Istante, dopo cinque anni dall’acquisto del terreno.

Con riferimento, infine, al corrispettivo percepito per le obbligazioni accessorie a carico dell’istante, che si estrinsecano nell’impegno a non realizzare su propri terreni o immobili adiacenti, anche appositamente acquistati, altri impianti, antenne ed apparati tecnologici, entro il raggio comunque di cinque chilometri dall’impianto, l’Agenzia afferma che lo stesso rientra tra i redditi diversi di cui al citato articolo 67, comma 1, lett. l), del TUIR, in quanto derivante dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.

 

Spese sanitarie in precompilata: modalità tecniche di utilizzo dei dati

L’Agenzia delle entrate ha definito le modalità tecniche di utilizzo ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata dei dati delle spese sanitarie comunicate, a decorrere dall’anno d’imposta 2023 (Agenzia delle entrate, provvedimento 11 luglio 2023, n. 258455).

L’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 175/2014, dispone che l’Agenzia delle entrate, ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi, può utilizzare i dati di cui all’articolo 50, comma 7, del D.L. n. 269/2003.

Il comma 3 individua i soggetti tenuti alla trasmissione al Sistema Tessera Sanitaria dei dati delle prestazioni sanitarie ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata.

Il successivo comma 4 del medesimo articolo prevede che con decreto del MEF siano individuati termini e modalità per la trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati relativi alle spese che danno diritto a deduzioni dal reddito o detrazioni dall’imposta diverse da quelle già individuate dallo stesso decreto.

Inoltre, il comma 5, prevede che con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, sentita l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, siano stabilite le modalità tecniche di utilizzo dei suddetti dati.

 

Con vari decreti il MEF ha ampliato la platea dei soggetti obbligati alla trasmissione telematica dei dati delle spese sanitarie e veterinarie al Sistema Tessera Sanitaria e perciò, in attuazione di tali disposizioni, l’Agenzia delle entrate ha emanato appositi provvedimenti che hanno disciplinato le modalità tecniche di utilizzo dei dati delle spese sanitarie e veterinarie messe a disposizione dal Sistema Tessera Sanitaria.

 

In particolare, recependo le novità introdotte dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 maggio 2023 e confermando la medesima disciplina prevista dal provvedimento n. 115304 del 6 maggio 2019, l’Agenzia ha stabilito le modalità tecniche di utilizzo dei dati delle spese sanitarie ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, a partire dall’anno d’imposta 2023.

 

Le tipologie di spesa sono le seguenti:

– ticket per acquisto di farmaci e per prestazioni fruite nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale;

– farmaci: spese relative all’acquisto di farmaci, anche omeopatici;

– dispositivi medici con marcatura CE: spese relative all’acquisto o affitto di dispositivi medici con marcatura CE;

– servizi sanitari erogati dalle farmacie;

– farmaci per uso veterinario;

– prestazioni sanitarie (escluse quelle di chirurgia estetica e di medicina estetica): assistenza specialistica ambulatoriale; visita medica generica e specialistica o prestazioni diagnostiche e strumentali; prestazione chirurgica; certificazione medica; ricoveri ospedalieri ricollegabili ad interventi chirurgici o a degenza, al netto del comfort;

– prestazioni sanitarie erogate dai soggetti di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 1° settembre 2016, come modificato dai decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 28 novembre 2022 e del 22 maggio 2023;

– prestazioni sanitarie erogate dai soggetti di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 22 marzo 2019;

– prestazioni sanitarie erogate dai soggetti di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 22 novembre 2019;

– prestazioni sanitarie erogate dai soggetti di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 16 luglio 2021;

– spese agevolabili solo a particolari condizioni: protesi e assistenza integrativa; cure termali; prestazioni di chirurgia estetica e di medicina estetica (ambulatoriale o ospedaliera);

– altre spese sanitarie.

 

Inoltre, il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 maggio 2023, modificando il decreto del 1° settembre 2016, ha ampliato la platea dei soggetti tenuti alla trasmissione al Sistema Tessera Sanitaria dei dati relativi alle prestazioni sanitari, includendovi gli iscritti agli albi professionali degli infermieri pediatrici.

 

Superbonus e requisito di ”abitazione principale”

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti, in materia di Superbonus, riguardo al momento rilevante per la verifica del rispetto del requisito di destinazione ad ”abitazione principale” di un’unità immobiliare unifamiliare oggetto di un intervento di demolizione e ricostruzione (Agenzia delle entrate, risposta 10 luglio 2023, n. 377).

La richiesta di chiarimenti proviene da un contribuente che intende effettuare un intervento di demolizione e ricostruzione avvalendosi del Superbonus su di immobile acquistato, fruendo dell’agevolazione c.d. ”prima casa”, accatastato in categoria A/3 ma inagibile.

 

In merito alle condizioni previste dalla normativa per accedere al Superbonus, l’istante risulta:

– essere titolare di diritto di proprietà sull’unità immobiliare;

– avere un reddito di riferimento, determinato ai sensi del comma 8bis.1 dell’articolo 119 del Decreto Rilancio, non superiore a 15.000 euro.

 

A causa dell’inagibilità non risulta, però, soddisfatto il requisito della residenza nell’immobile, che potrà avvenire solo al termine dei lavori di demolizione e ricostruzione.

Al riguardo, l’Agenzia delle entrate ricorda che, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera a), numero 3), del Decreto Aiuti-quater che ha  modificato il comma 8­bis dell’articolo 119 del Decreto Rilancio, per gli interventi avviati a partire dal 1° gennaio 2023 su unità immobiliari dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di un’attività d’impresa, arti e professioni, il Superbonus spetta nella misura del 90% delle spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che il contribuente sia titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare, che la stessa unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale e che il contribuente abbia un reddito di riferimento non superiore a 15.000 euro.

 

Già con la circolare n. 13/E/2023 l’Agenzia ha avuto modo di chiarire che la verifica del rispetto dei predetti requisiti costituisce una novità dell’attuale disciplina del Superbonus e riguarda soltanto gli interventi iniziati a partire dal 1° gennaio 2023.

In tale circolare si precisa che per interventi avviati dal 1° gennaio 2023 devono intendersi, in linea generale, gli interventi per i quali la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) sia stata presentata a decorrere dalla predetta data e la cui data di inizio lavori, indicata nella medesima CILA, sia successiva al 31 dicembre 2022. Possono rientrare, inoltre, nella nuova disciplina anche gli interventi per i quali la presentazione della CILA sia antecedente al 1° gennaio 2023, purché il contribuente dimostri che i lavori abbiano avuto inizio a decorrere dall’anno 2023, circostanza che può essere documentata dalla data di inizio lavori indicata nella CILA o anche mediante un’autocertificazione resa dal direttore dei lavori.

 

La suddetta circolare chiarisce che per abitazione principale si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente e che, al fine della fruizione del Superbonus, qualora non fosse possibile soddisfare il requisito della destinazione dell’unità immobiliare ad abitazione principale fin dall’inizio dei lavori, basterebbe che il medesimo immobile fosse adibito ad abitazione principale al termine degli stessi.

 

Pertanto, conclude l’Agenzia, l’istante potrà fruire del Superbonus nella misura del 90% delle spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, a condizione che l’immobile di proprietà oggetto degli interventi agevolabili sia adibito ad abitazione principale al termine degli interventi medesimi.

Rottamazione-quater: compensazione non ammessa per il pagamento delle somme dovute

L’Agenzia delle entrate ha chiarito che non è possibile utilizzare i crediti IVA nè i crediti commerciali in compensazione ”orizzontale” per il pagamento dei debiti che risultano dall’adesione alla definizione agevolata (Agenzia entrate, risposta 7 luglio 2023, n. 372).

L’articolo 1, comma 232, della Legge n. 197 del 2022 stabilisce che il pagamento delle somme dovute a seguito di adesione alla definizione agevolata dei debiti tributari risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022 (c.d. Rottamazione-quater) va effettuato in unica soluzione, entro il 31 ottobre 2023, ovvero nel numero massimo di diciotto rate.

Tale pagamento può essere effettuato:

 

– mediante domiciliazione sul conto corrente eventualmente indicato dal debitore con le modalità determinate dall’agente della riscossione nella comunicazione inviata entro il 30 settembre 2023 dall’Agenzia delle entrate;

– mediante moduli di pagamento precompilati, che l’agente della riscossione è tenuto ad allegare alla suddetta comunicazione;

– presso gli sportelli dell’agente della riscossione.

 

Ai fini del valido perfezionamento della definizione in parola, il pagamento va eseguito esclusivamente con le modalità enucleate dal comma 242, che non contemplano il versamento e la compensazione tramite Modello F24 disciplinate dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997.

 

Anche il comma 12 dell’articolo 3 del decreto-legge n. 119/2018, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 136/2018 (cd. ”rottamazione-ter”) reca una formulazione ”in parte” analoga al comma 242 dell’articolo 1 della Legge n. 197/2022 e prevede a sua volta che il pagamento delle somme dovute per la definizione si possa effettuare:

 

a) mediante domiciliazione sul conto corrente eventualmente indicato dal debitore nella dichiarazione;

b) mediante bollettini precompilati, che l’agente della riscossione è tenuto ad allegare alla comunicazione;

c) presso gli sportelli dell’agente della riscossione.

 

La circolare n. 25/E/2020 dell’Agenzia chiarisce, inoltre, che non essendo prevista espressamente la modalità di assolvimento del debito risultante dalla dichiarazione di adesione alla rottamazione-ter con modalità diverse da quelle richiamate dalle citate lettere da a) a c), lo stesso non può essere compensato con il credito d’imposta derivante dalle spese sostenute per interventi di efficientamento energetico.

Tra l’altro, la lettera c) del comma 242 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2023 non contempla alcun richiamo alla disciplina in tema di compensazione dei crediti ”commerciali” vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo, introdotta dall’articolo 12, comma 7bis, del decreto-legge, n. 145/2013.

 

In conclusione, riguardo al caso di specie, l’Agenzia afferma che l’istante non potrà utilizzare il proprio credito IVA, né i crediti ”commerciali” di cui eventualmente dispone, per pagare gli importi dovuti per il valido perfezionamento della c.d. rottamazione-quater di cui intende avvalersi.

 

Tassazione del legato di genere ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale del legato di genere ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni (Agenzia delle entrate,  circolare 6 luglio 2023, n. 19/E).

Il legato di genere rappresenta un legato obbligatorio avente ad oggetto la prestazione di cose designate secondo l’appartenenza ad un genere, che attribuisce al legatario (onorato) un diritto di credito nei confronti di un erede o di un altro legatario (onerato), il quale deve adempiere prestando beni corrispondenti per qualità e quantità alle indicazioni del testatore.

In particolare, il legato pecuniario, che ha ad oggetto una somma di denaro disposta dal testatore a carico di uno o più eredi, costituisce una disposizione mortis causa, a titolo particolare, attributiva di specifici diritti patrimoniali.

 

Si distinguono, ai sensi degli articoli da 649 a 673 c.c., tra:

legato di specie, che ha per oggetto la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore;

legato di genere (o di cosa genericamente determinata), che ha per oggetto una cosa determinata solo nel genere.

 

Nel primo caso la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del testatore (legato c.d. obbligatorio); nel secondo caso l’onerato è tenuto ad una prestazione a favore del legatario, che, invece, acquista un diritto di credito nei confronti dell’onerato (legato c.d. obbligatorio).

 

L’articolo 8 del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni (D.Lgs. n. 346/1990) prevede che il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art. 46, comma 3, e che il valore dell’eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati e degli altri oneri che le gravano.

L’articolo 36 del TUS prevede, inoltre, gli eredi sono obbligati solidalmente al pagamento dell’imposta dovuta da loro e dai legatari, che a loro volta sono obbligati al pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati.

 

L’Agenzia, dunque, sul piano civilistico, chiarisce che nel caso di disposizione mortis causa avente ad oggetto un legato di genere di cui risulta onerato un erede:

  • quest’ultimo, a seguito dell’accettazione dell’eredità, è tenuto ad una prestazione a favore del legatario; inoltre, a seguito dell’adempimento del legato, subisce un decremento patrimoniale corrispondente al legato stesso;

  • il legatario, invece, acquista un diritto di credito nei confronti dell’erede onerato.

Sul piano fiscale, invece, in considerazione della distinzione civilistica tra legato di genere e legato di specie, il legato di genere, in quanto debito dell’erede, non viene allo stato decurtato dal valore dell’eredità o delle quote ereditarie.

 

In conclusione, poiché le modalità di tassazione del legato di genere possono risultare in violazione del principio di “giusta imposizione” e tenuto conto del fatto che l’articolo 8, comma 3, del TUS dispone espressamente che il valore dell’eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati, l’Agenzia afferma che è coerente determinare l’eredità o le quote ereditarie al netto dei legati, indipendentemente dalla tipologia degli stessi.

Più precisamente, ferma restando la distinzione civilistica fra legato di genere e legato di specie, in sede di liquidazione dell’imposta di successione, il valore del legato di genere, al pari di quello di specie, va dedotto dal valore dell’eredità o delle quote ereditarie.